Fragilità come sinonimo di bellezza: nel vortice di Niccolò Fabi

“È solo un uomo quello di cui parlo, del suo interno come del suo intorno.” (‘Solo un uomo’, N. Fabi)

Inizia così una delle canzoni più emblematiche ed eloquenti dell’estro cantautorale di Niccolò Fabi, artista romano che ha appena celebrato i primi vent’anni della sua carriera. Un musicista non sotto la ribalta dei riflettori, ma nascosto tra nicchie di sensibilità e autenticità, noto ai mai stanchi ricercatori di una musica che sia comunicativa, curativa e distruttivamente costruttiva. Se la musica ha il potere anche di salvare, quella di Fabi tende una mano, dona una speranza e mette di fronte alla verità, riconciliando l’incontro con se stessi.

Nel 1997, giovane esordiente sanremese, colora il palco più famoso d’Italia con una canzone apparentemente frivola, ‘Capelli’. Questa leggerezza cela, in realtà, un’essenza intelligentemente sorniona rispetto alla freschezza dei suoi trent’anni e conquista la critica, inaugurando il suo promettente percorso nel quadro musicale nazionale. ‘Chi ha il destino nel sangue, chi in un’occasione’ scrive in ‘Successo’, e il suo è sicuramente meritato, ma non agognato perché, per lui, il vero successo è poter dire solo quello che si vuole dire e poter fare solo quello che si è scelto, e poter scegliere di smettere e ricominciare’. Infatti la volontà di restare fedele a se stesso vince sull’impulso di compiacere le aspettative altrui e il risultato di questo distacco è l’album del 2000 “Sereno ad ovest”, che delude la critica ma lo riporta all’autenticità. Da questo momento in poi Fabi seguirà un unico gradiente di piacimento: il suo.

Negli anni la sua carriera è sfumata con una diversa tonalità, grazie alla collaborazione lavorativa e soprattutto affettiva con Daniele Silvestri e Max Gazzè, fiorita nel progetto “Il padrone della festa”, espressione schietta, pura e densa delle loro essenze.

Ma perché scegliere proprio Niccolò Fabi? Se fra i grandi della musica italiana vengono maledetti e osannati cantautori come De Andrè, Dalla, De Gregori, Guccini, Battisti, Battiato, solo per citarne alcuni, la cui eccellenza è stata riconosciuta tardi e minata da innumerevoli critiche, ognuno di loro ci propone un occhio nuovo e coraggioso per guardare la vita, o meglio per come affrontarla, l’artista romano incentra il suo comporre stimolando ogni mente ad essere autocritica e a saper canalizzare il dolore, che diventa la più terapeutica catarsi.

“Qual è il grado di dolore che riesci a sopportare?” (‘Lasciarsi un giorno a Roma’) Ed ecco che ridesta da un sonno comodo e cullante, perché “non è che ti importa, non è tanto è uguale” (‘E’ non è’), ma la vita necessita di scelte, di sofferenze e di pianto, necessita di un proprio senso e della sua forte fragilità: sta a noi migliorarci dopo ogni caduta. Tutto ha un peso. Tutto è necessario con il suo tempo, perché “chi si ferma è perduto, ma si perde tutto chi non si ferma mai, […] eppure ci manca sempre qualcosa”. (‘La bellezza’).

Questo qualcosa mancante Fabi lo conosce bene, lo ha sperimentato sulla sua pelle, ed è un vuoto incolmabile, un dolore che solo la perdita di un figlio può lasciare. Ma il ricordo e la vitalità della sua Olivia restano nelle canzoni, nelle giornate per Lulù, nella commozione di ‘Attesa e Inaspettata’ e nel grido sofferto di ‘Ecco’, in cui lui “di certo non la lascerà mai andare”. Chi lo ascolta, però, non deve cercare solo parole legate a questo evento, ma in lui, c’è una completezza e un’interpretazione della realtà a 360°, in cui l’unione tra le varie sofferenze, può e deve essere la forza di ognuno. Senza paura di mostrarsi. Senza paura di fingere. Tutti uniti come nella ‘social catena’ leopardiana, il cui motto è offerto dalle sue stesse parole: “Ti guardo e riconosco in te la mia stessa ferita” (‘Questo pianeta’).

Niccolò Fabi è una voce fuori dal coro, è un grazie commosso durante i suoi concerti, è lo sguardo basso che ti regala umiltà e pacatezza, è l’uomo qualunque e l’uomo speciale, del giorno dopo giorno, delle piccole meraviglie del quotidiano, è il cantautore della scelta, del mondo interiore, della bellezza della vita per com’è, non per come vorremmo fosse, perché questo scorrere che spesso ci sembra insensato è semplicemente ‘un viaggio interstellare, fino al centro della vita, fino al male che fa male, la ricerca più ostinata che è cercare di piacersi e di riuscire a fare in tempo’ (“Diventi inventi”) e lui è riuscito a starci attento.

Sara Annicchiarico 5^ A s.u.

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