L’etimologia fa derivare felicità dall’aggettivo felix, “felice”, la cui radice “fe” significa abbondanza, ricchezza e prosperità.
La felicità non è uno stato d’animo perenne ma, al contrario, è cercare di godere di quello che si possiede nel presente.
Giacomo Leopardi si distacca da questa visione ottimistica della possibilità dell’uomo di raggiungere la felicità. L’uomo viene definito, dal poeta, infelice.
Chi è, dunque, il vero nemico dell’uomo? Per lo scrittore di Recanati, la natura. Quest’ultima è “matrigna” delle sue creature, perché indifferente o, addirittura, ostile ad esse. Nel “Dialogo della natura e di un Islandese”, essa dichiara di non voler occuparsi della felicità degli uomini, anzi, rende loro la vita difficile.
“Ponghiamo caso che uno m’invitasse spontaneamente a una sua villa, con grande instanza; e io per compiacerlo vi andassi. Quivi mi fosse dato per dimorare una cella tutta lacera e rovinosa, dove io fossi in continuo pericolo di essere oppresso; umida, fetida, aperta al vento e alla pioggia. Egli, non che si prendesse cura d’intrattenermi in alcun passatempo o di darmi alcuna comodità, per lo contrario appena mi facesse somministrare il bisognevole a sostentarmi; e oltre di ciò mi lasciasse villaneggiare, schernire, minacciare e battere da’ suoi figliuoli e dall’altra famiglia. Se querelandomi io seco di questi mali trattamenti, mi rispondesse: forse che ho fatto io questa villa per te? o mantengo io questi miei figliuoli, e questa mia gente, per tuo servigio? e, bene ho altro a pensare che de’ tuoi sollazzi, e di farti le buone spese; a questo replicherei: vedi, amico, che siccome tu non hai fatto questa villa per uso mio, così fu in tua facoltà di non invitarmici. (…) ”
L’uomo, invece, vive per raggiungere la felicità, ossia per riuscire a vivere nonostante le sofferenze.
Per l’autore, non c’è scampo al dolore esistenziale. La vita, infatti, è un perpetuo circuito di costruzione e distruzione. Il compito dell’uomo, più che essere felice è affrontare la sofferenza che viene vista come un ponte verso la felicità disseminato di ostacoli. Essi possono essere paragonati a dei pezzi di un puzzle, che, solo uniti, permettono di formare il grande palcoscenico della felicità.
L’ultima opera di Leopardi “La Ginestra”. Questa è una pianta selvatica, flessibile che nasce e cresce alle falde del Vesuvio. Nell’opera essa rappresenta l’umiltà di chi rinasce più forte e più bello di prima dopo essere stato travolto dalle sofferenze.
Il problema dell’afflizione, secondo Leopardi, si può risolvere attraverso la solidarietà umana, la fratellanza; attraverso un patto confederativo universale. L’uomo, in conclusione, per tenare di essere felice, deve allontanarsi dalle illusioni e dalla pretesa di essere invincibile ed immortale.
Laura Campo
Rosa Spagnulo