Scoperta sensazionale: l’universo che ci piace

UNIVERSO

Il 22 febbraio è stata ufficializzata la scoperta dell’effettiva esistenza di sette nuovi e particolari pianeti, festeggiata dai ricercatori della Nasa. Non c’è voluto molto tempo affinché l’accogliesse anche la gente comune: curiosità, gioia e sgomento l’hanno animata nel medesimo tempo. Curiosità perché non è da tutti arrivare a concepire l’esistenza di corpi celesti al di là di quelli del nostro sistema solare: ci vorrà molto tempo prima che cambi l’idea superficiale che hanno alcuni di universo (dall’unione delle parole latine unus e versus, letteralmente ‘’tutt’uno avvolto in sé stesso’’); questa lo intende come uno spazio indefinito che contiene la Terra e altri pianeti ‘’inutili’’ai fini della nostra esistenza. Gioia perché una nuova scoperta equivale sempre a progresso, passi avanti e accrescimento di tutto cio’ che, in realtà, ci serve sapere anche per avere una visione più chiara della vita che viviamo sulla Terra. E, infine, sgomento perché i pianeti in questione sembrano trovarsi in una copia fedele del nostro sistema solare: rispetto a questo, attraverso il Trappist-1, il telescopio installato sull’osservatorio di La Silla che ha dato il nome alla stella nana centro del sistema, sappiamo che c’è solo un pianeta in meno. In più tre dei sette pianeti si trovano in una fascia che si suppone adeguatamente temperata per la presenza di acqua allo stato liquido, causa diretta della presenza di vita. Ne abbiamo trovati tanti di pianeti: piccoli, grandi, roventi, gelati ecc., ma, stavolta, sono probabilmente abitabili. Sicuramente non saranno gli ultimi ad avere questa caratteristica, poiché ogni stella ha più di un pianeta che le orbita attorno, ma le stelle nell’universo sono miliardi di miliardi, quindi i rispettivi pianeti saranno centinaia di miliardi di miliardi! Pensarci mette i brividi.
Per farci trarre queste conclusioni e andare su di giri, e’ bastato che, il trappist-1 appunto, carpisse non i pianeti in sé ma le deboli variazioni di luminosità causate dal loro passaggio di fronte alla stella nana che li illumina. Come fa la scienza ad essere qualcosa di ‘’freddo’’ e ‘’distaccato’’ nel momento in cui ci provoca emozioni simili, anche con indicazioni così piccole? Lo fa in modo inevitabile tra l’altro, nonostante ci fornisca informazioni su una realtà lontana ben quaranta anni luce da noi. Quaranta anni luce equivalgono a novemilacinquecento miliardi di chilometri: ci metteremmo ottanta anni per andare e ritornare con i nostri attuali mezzi, ma solo nel caso in cui raggiungessimo la velocità della luce, cosa del tutto impossibile dato che una qualsiasi massa per sopportarla si disintegrerebbe. Neanche una lumaca ci metterebbe così tanto tempo per raggiungere strisciando la Cina, e non è poca strada! E’ per questo motivo che il capo del Direttorio Missioni Scientifiche della Nasa, Thomas Zurbuchen, afferma che ‘’trovare una seconda Terra non è più una questione di se, ma di quando’’. Sono sicura che, nel profondo di ognuno, quest’affermazione fa sentire come se si venisse svalutati, trascurati da un universo che non si cura di noi come vorremmo (non entriamo in digressioni religioso-filosofiche), quasi e sottolineo il ‘’quasi’’, come una seconda rivoluzione copernicana. Dire che non è il Sole che gira attorno alla Terra, ma è quest’ultima ad avere un moto di rivoluzione come tutti gli altri pianeti, è come dire che non siamo noi esseri umani al centro dell’universo e quindi al centro dell’esistenza, della vita. Di nuovo, dire che ora non è più un’ipotesi che la Terra sia l’unico pianeta abitato da esseri viventi, è come dire che noi non siamo effettivamente il ‘’centro pensante dell’universo’’, se non siamo soli. Eppure soltanto la presa di coscienza di cio’, e non la sua reale esperienza, è qualcosa di concretamente più grande rispetto ai pensieri spiccioli di ogni giorno. Questi ultimi riescono a coesistere insieme a quelli che vanno oltre le nostre reali capacità perché l’uomo ‘’è un nulla di fronte al tutto e un tutto di fronte al nulla’’ e, occupando una sorta di ‘’posizione mediana’’ all’interno del cosmo, si destreggia tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Lo ha detto Pascal nel XVII secolo e soltanto, probabilmente, in un futuro che ha in serbo ancora dell’altro potrà essere vero come ora. Questo pero’ non significa che accetteremo , o almeno non subito, il fatto che la Terra e tutto cio’ che la caratterizza siano qualcosa di ripetibile e ‘’confrontabile’’. A partire dai terremoti e da tutti i disastri naturali di cui non capiremo mai pienamente le dinamiche, dalle montagne e i mari, dalle nostre lingue e pelli diverse, fino ad arrivare all’arte, alla musica, alle leggi ecc.; tutti protagonisti dell’ammirazione dell’uomo o, perché non dirlo, del suo odio: in ogni caso non della sua indifferenza. Forse l’uomo moderno ha da imparare, o quantomeno ricordare, dai suoi esempi di pensatori antichi, che ancora oggi ci affascinano con i loro miti e visioni fantastiche sulla Terra e sull’universo. Credo che in questo campo vincano gli antichi greci: pensiamo ad Atlante, un personaggio mitologico, che Esiodo ci racconta sia stato punito da Zeus per essersi alleato con i giganti nella rivolta contro gli dei dell’Olimpo. Fu costretto a reggere sulle sue spalle l’intera volta celeste e nella sua raffigurazione statuaria tradizionale si puo’ ammirare la posizione innaturale, quasi goffa, a cui quest’immensa fatica lo costringe. E’ emblematico che un uomo, o più precisamente una figura che gli è molto vicina, regga letteralmente il nostro pianeta. Oggi, invece, è retto dalla coscienza della sua limitatezza e dalla fiducia nei suoi mezzi di ricerca, che nonostante siano alla pari dell’intraprendenza di Ulisse, non lo porteranno mai a superare le colonne d’Ercole del nuovo spazio inesplorato perché non è più la Terra come è stato per l’eroe acheo, ma l’universo, in cui colonne d’Ercole non ne esistono.

Francesca Santoro della 4 B scientifico

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